Ottocento. La grande progettualità nel porto di Genova
La grande trasformazione del porto
Chi arrivava a Genova dal mare, verso la metà dell’Ottocento, ne rimaneva incantato. Una guida dell’epoca la descrive così:
«Veduta dal golfo, Genova è uno spettacolo: un semicerchio maestoso di marmi e tetti, stretto tra l’azzurro del mare e il verde cupo degli Appennini.»
Un anfiteatro naturale, solenne ed elegante, affacciato sul Mediterraneo. Ma sotto quella bellezza si muoveva una città inquieta, affamata di futuro, pronta a reinventarsi.
Sono anni febbrili e rivoluzionari: la navigazione a vapore trasforma il traffico marittimo, il commercio internazionale accelera come mai prima, e l’apertura del Canale di Suez, nel 1869, spalanca rotte nuove e sfide impreviste. Genova, antica città di mercanti e navigatori, capisce che la propria fortuna non può più poggiare su un porto ereditato dal passato. Le banchine sono strette, i fondali insufficienti, le infrastrutture non tengono il passo dell’industrializzazione. Il porto della Superba – glorioso, sì, ma ancora figlio di un impianto medievale – appare improvvisamente piccolo, quasi timido di fronte alle ambizioni della nuova età moderna.
Nel frattempo, anche la città cambia pelle. Le strade si allargano, i collegamenti ferroviari aprono Genova all’entroterra, i quartieri si arrampicano su pendii e colline, la borghesia imprenditoriale imprime un passo diverso alla vita urbana. Genova non è più soltanto “sul” mare: diventa città “del” mare, una capitale economica in trasformazione, che guarda all’Europa e si specchia nel Mediterraneo con ritrovato orgoglio.
È in questo clima di energia e visione che, dagli anni Settanta dell’Ottocento, prende avvio una stagione decisiva per la storia portuale. Un tempo di progetti giganteschi, di cantieri aperti, di moli che si allungano come braccia verso il largo, di calate che si ampliano, di dighe che modellano un porto finalmente all’altezza delle sue ambizioni. Le mappe conservate nel nostro archivio – tracciate con pazienza da ingegneri, tecnici e topografi – raccontano la trasformazione in atto: linea dopo linea, ci mostrano una Genova che si protende, si organizza, si ridisegna. Genova, in quegli anni, scommette sul futuro. E lo fa con coraggio, lucidità e un’idea molto moderna di sé stessa.
Ed è proprio in questi anni di attese e di progetti che un gesto straordinario, destinato a cambiare il volto del porto, si prepara dietro le quinte: un dono che porta il nome del duca di Galliera e che segnerà l’inizio di una nuova stagione.
Ma questa è una storia che merita un capitolo tutto suo.
Il Fondo Genio Civile
Per entrare davvero nel cuore di questa metamorfosi bisogna aprire le carte del Fondo Genio Civile, uno dei nuclei più preziosi dell’intero archivio storico dell’Autorità di Sistema Portuale. È qui che la trasformazione del porto prende forma concreta: nei disegni accurati, nelle tavole minuziose, nei computi metrici, nei rapporti tecnici che raccontano un’ingegneria visionaria ma rigorosa.
Sfogliare questo fondo significa entrare direttamente nell’officina dello sviluppo ottocentesco, osservare da vicino come nascono le grandi scelte infrastrutturali che cambieranno il destino del porto.
Il materiale copre un arco che va dalla metà del XIX secolo al 1903, quando la gestione verrà affidata al nuovo Consorzio Autonomo del Porto. Tra le pagine spiccano le figure dei protagonisti, su tutti l’ingegnere Adolfo Parodi, instancabile direttore tecnico delle opere finanziate dal Duca di Galliera. È lui a tradurre in progetti concreti la grande stagione di lavori che ridisegna Genova: moli, ponti, calate, bacini di carenaggio, collegamenti ferroviari. Documenti e corrispondenze permettono di seguire passo dopo passo la realizzazione della Convenzione Galliera, un’impresa titanica che trasformò il porto in un cantiere aperto per oltre un decennio.
Ciò che rende straordinario questo fondo, però, non è solo la quantità della documentazione, ma lo sguardo che offre sullo spirito del tempo. Racconta una Genova che sperimenta, osa, immagina. Una città che affronta sfide ingegneristiche mai tentate prima, che si misura con modelli europei, che cerca soluzioni innovative per tenere il passo della modernità. Ogni tavola, ogni lettera, ogni perizia è una tessera di un grande mosaico narrativo: quello della città che, pietra dopo pietra e molo dopo molo, costruisce la Genova moderna.
La Rinascita del Porto di Genova
Il Magnifico Dono: la Convenzione fra il Governo del Re e S. E. il Duca di Galliera, Principe di Lucedio, per la sistemazione del porto di Genova
Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, anno 1876, n. 174“Si premette che S. E. il Duca di Galliera, sotto la data del sette dicembre mille ottocento settantacinque, ha offerto il suo concorso per la somma di venti milioni di lire alla sistemazione del porto di Genova, sotto determinate condizioni, e che, a nome del Governo di S. M., S. E. il presidente del consiglio dei ministri e ministro delle finanze ha accettato nel giorno stesso il dono offerto dal Duca alle condizioni medesime, esprimendogliene i sentimenti della più viva riconoscenza.”
A volte la storia di una città cambia direzione grazie a un gesto solo.
Per Genova, quel gesto porta il nome di Raffaele Luigi De Ferrari, duca di Galliera: un uomo discreto, quasi schivo, ma capace di un atto di generosità che ancora oggi stupisce per dimensioni e visione. Nella seconda metà dell’Ottocento, mentre il porto faticava a tenere il passo della modernità, De Ferrari intuì ciò che molti esitavano ad ammettere: Genova aveva bisogno di un investimento gigantesco, di una spinta che la rendesse competitiva tra i grandi porti d’Europa.
Fu così che maturò l’idea di un contributo personale, tanto imponente da superare di gran lunga le possibilità finanziarie degli enti pubblici. La prima proposta, avanzata nel 1873, prevedeva un prestito a condizioni favorevoli. Ma le istituzioni cittadine temevano il peso della restituzione. Allora, con un gesto che i giornali definirono senza esitazione “il magnifico dono”, il duca decise di rinunciare al rimborso e trasformò quella somma in un regalo vero e proprio: venti milioni di lire-oro, la più grande donazione mai elargita in Italia da un privato.
Le cronache dell’epoca registrano lo stupore di Genova. Al suo ritorno da Roma, quando la notizia divenne ufficiale, “la città era tutta illuminata a festa”, e una folla immensa si radunò in stazione per accoglierlo. Un giornale annotò: «Mai la Superba ebbe benefattore più munifico, né dono più degno del suo nome». Era evidente a tutti che quella generosità avrebbe cambiato il volto della città.
Da quel gesto nacque la Convenzione Galliera, l’accordo tra il duca, il Governo e il Comune che stabiliva la destinazione del fondo e l’avvio dei lavori di ampliamento del porto. Non si trattava di un semplice piano di manutenzione: era la progettazione di un porto nuovo, moderno, capace di accogliere navi sempre più grandi e di sostenere un traffico commerciale in continua crescita. Il programma prevedeva l’ampliamento verso mare, la costruzione di nuovi moli e calate, l’escavo dei fondali, la realizzazione di magazzini coperti, la sistemazione delle banchine, e l’integrazione dei moli con i collegamenti ferroviari, allora in rapida espansione.
La portata degli interventi trasformò Genova in un immenso cantiere: gru, pontoni, cassoni di cemento, argani, rotaie e brigate di operai ridisegnavano giorno dopo giorno il perimetro del porto. Le cronache descrivono una città che “viveva nel rombo dei cantieri”, mentre il mare, solcato da vapori e chiatte, cambiava forma sotto le mani degli ingegneri. Tra i tanti risultati di questa stagione, uno dei più simbolici fu il molo che avrebbe portato il nome del benefattore: «E così fu: venti milioni in oro… per costruire il molo che porta il suo nome», ricordava molti anni dopo un giornale locale.
De Ferrari non vide completata la totalità delle opere, ma il suo gesto fu così potente da lasciare un segno indelebile nella memoria cittadina. Genova volle ricordarlo con un monumento imponente: un gruppo allegorico scolpito da Giulio Monteverde, dove la Munificenza domina la scena, affiancata da Mercurio e da un genio alato. Un segno di gratitudine che ancora oggi parla della generosità silenziosa del duca e della stagione nuova che il suo dono aveva inaugurato.
Il Magnifico Dono non modificò solo l’infrastruttura portuale: cambiò l’immaginario della città. Genova scoprì che poteva pensare in grande, guardare all’Europa, reinventarsi. Il porto — cuore pulsante della sua identità — divenne grazie alla Convenzione Galliera il suo motore di modernità.
Un gesto privato, certo; ma con un valore pubblico immenso, capace di riscrivere il destino della Superba e di traghettarla nell’età contemporanea.
L’ampliamento del Molo Nuovo: il Molo Occidentale/Lucedio/Galliera
Il molo Galliera e il ricordo del Duca
Nel grande progetto di ampliamento del porto, le opere foranee furono considerate da subito la priorità assoluta. Proteggere lo specchio acqueo interno dalle mareggiate significava mettere in sicurezza le navi, garantire continuità alle attività di carico e scarico, consentire al porto di crescere. Per questo il primo cantiere ad aprire fu proprio quello del prolungamento del Molo Nuovo, destinato a diventare il nuovo Molo Occidentale, che la città avrebbe presto imparato a chiamare Molo Galliera.
Questo tratto avanzato di diga rivestiva un ruolo cruciale: non era solo una barriera fisica contro il mare aperto, ma anche un supporto funzionale per l’organizzazione degli attracchi e la distribuzione delle merci lungo le calate interne. Le tavole tecniche dell’epoca mostrano un’opera colossale fatta di cassoni, massi ciclopici e allineamenti millimetrici: una linea di pietra che avanzava nel mare, modellando un porto finalmente capace di accogliere le navi di maggior tonnellaggio. I documenti del Genio Civile testimoniano come l’opera fosse considerata già allora “di primaria necessità per l’agibilità del porto e per la sicurezza degli approdi”, sottolineando la funzione strategica del nuovo molo nel proteggere le manovre e garantire la quiete interna del bacino.
Il cantiere era un mondo vivo: pontoni, gru a vapore, brigate di operai impegnate a posare massi e a colmare tratti di mare. Al calare della sera, le luci delle lampade a olio e delle lanterne appese alle attrezzature disegnavano una scia luminosa che punteggiava l’acqua scura del porto, immagine evocativa del grande cantiere che, giorno dopo giorno, stava trasformando il fronte mare genovese.
Secondo il decreto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Liguria del Ministero della Cultura, che tutela oggi il Molo Duca di Galliera quale bene di interesse culturale, questo tratto di diga costituisce un elemento storico fondamentale del porto, quale segmento embrionale dell’attuale diga foranea. Realizzato con grandi massi naturali e successive sopraelevazioni, conserva ancora oggi la sua configurazione originaria e la funzione per cui era stato progettato: proteggere il porto dall’azione diretta del mare e definire un nuovo assetto operativo per l’intero sistema delle calate interne.
La costruzione del Molo Galliera fu resa possibile grazie alla donazione del Duca di Galliera, che finanziò l’intero programma di ampliamento del porto. Non sorprende quindi che, una volta terminati i lavori, si decise di ricordarne ufficialmente la figura. A partire dal 1888 iniziò una fitta corrispondenza tra Genio Civile, Prefettura e Ministero dei Lavori Pubblici per apporre una lapide commemorativa sul nuovo molo: una targa che celebrasse la munificenza del Duca e il nobile ingegno dell’ingegnere Adolfo Parodi, autore del progetto di ampliamento.
La discussione si protrasse per diversi anni, tra bozze, approvazioni e modifiche, finché nel 1892 la lapide fu finalmente realizzata e collocata sul Molo Occidentale. Un gesto semplice, ma carico di significato: quel tratto di diga non era soltanto un’opera ingegneristica, ma il simbolo concreto della nuova stagione portuale inaugurata grazie a quel “Magnifico Dono”.
Il Molo Galliera rimane quindi una struttura in cui si intrecciano funzione, memoria e identità portuale: la prima grande opera che segnò l’ingresso di Genova nella modernità marittima, e un monumento silenzioso alla visione di chi ne rese possibile la costruzione.
La diga oggi
In mare aperto sta prendendo forma la Nuova diga foranea di Genova, un’opera ingegneristica che non ha eguali in Europa, pensata per ridisegnare l’accesso al porto e proiettarlo nel futuro dei grandi traffici marittimi. Nella sua configurazione finale si estenderà per oltre sei chilometri, poggiando su fondali che arrivano a 50 metri di profondità, una quota record per un’infrastruttura di questo tipo. Una barriera sottomarina formata da quasi cento ciclopici cassoni, moduli cellulari in calcestruzzo alti fino a 33 metri, lunghi oltre 67 e larghi fino a 35 metri — l’equivalente di un palazzo di circa undici piani — posati con precisione millimetrica sul solido basamento realizzato con 70.000 colonne di ghiaia per garantire stabilità.
La nuova diga consentirà al porto di accogliere in sicurezza le navi di ultima generazione, lunghe fino a 400 metri, ampliando i canali di accesso e gli spazi di manovra e rendendo Genova un hub logistico centrale per il commercio europeo. Allo stesso tempo, rafforzerà la protezione dei bacini e della città dalle mareggiate, sempre più intense per effetto dei cambiamenti climatici, salvaguardando banchine, infrastrutture e attività produttive. Ne deriveranno più competitività per il sistema portuale, maggiori traffici e nuove opportunità di lavoro sul territorio lungo l’intera filiera della logistica e della blue economy.
Dietro questa opera si muove un patrimonio straordinario di competenze: ingegneri, tecnici, sommozzatori, equipaggi e maestranze specializzate lavorano fianco a fianco nel cantiere in mare aperto, esposto a onde e intemperie, e su imponenti impianti galleggianti nel porto di Vado Ligure dove a ritmo continuo vengono prodotti i giganteschi cassoni pronti per la traversata verso la collocazione finale sulla nuova dorsale al largo dell’attuale infrastruttura portuale.
La Nuova diga foranea di Genova, realizzata per conto dell’Autorità di sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, non è solo un capolavoro di ingegneria: è un investimento strategico, del valore complessivo di circa 1,3 miliardi di euro, che genererà valore duraturo non solo per Genova, ma per il sistema Italia. Potenzierà la competitività del porto, creando nuove opportunità occupazionali e favorendo l’indotto locale. Rafforzerà i collegamenti logistici dal Mediterraneo all’Europa Centro-Meridionale, rendendo più efficiente e sostenibile la movimentazione delle merci e supportando la crescita del commercio internazionale. Un’opera che migliora la qualità della vita del territorio, sostiene lo sviluppo economico del Paese e contribuisce a un sistema portuale italiano più moderno, reattivo e interconnesso.
Edificio per passeggeri (la “prima” Stazione Marittima)
La Stazione Marittima di Genova nasce in un luogo che, fino alla fine dell’Ottocento, aveva un volto molto diverso da quello odierno: un piccolo promontorio affacciato sul mare, la chiesa di San Tomaso e un tratto di costa irregolare, dove le onde arrivavano quasi ai piedi delle case. Con l’avvio dei grandi interventi ottocenteschi, quest’area iniziò a trasformarsi per rispondere alle nuove esigenze del traffico passeggeri: prima con la creazione di un ponte dedicato allo sbarco, poi con il primo fabbricato destinato ad accogliere i viaggiatori.
È in questo scenario che prendono forma il primo ponte per lo sbarco, il fabbricato dei passeggeri e, infine, il progetto della Stazione Marittima che nel 1930 avrebbe accolto emigranti, turisti e interi equipaggi in partenza verso destinazioni lontane. In meno di cinquant’anni, questo tratto di banchina si è trasformato da semplice lembo di costa in un vero crocevia di storie, valigie, saluti e speranze.
Questo capitolo ripercorre le tappe di quella metamorfosi: dalla demolizione della chiesa di San Tomaso al sorgere del primo edificio per i passeggeri, dagli ampliamenti del ponte Federico Guglielmo fino al grande cantiere della stazione moderna. Un percorso attraverso piani, mappe, disegni tecnici e memorie d’archivio, alla scoperta di uno dei luoghi più simbolici del porto di Genova — dove la città ha imparato a parlare la lingua del mare, del viaggio e del futuro.
La demolizione della chiesa di San Tomaso e la costruzione del ponte davanti a San Tomaso
Fino agli anni Settanta dell’Ottocento, l’area dove oggi sorge la Stazione Marittima aveva un volto completamente diverso. Al posto delle banchine e delle strutture portuali c’era un piccolo promontorio roccioso che avanzava nel mare, battuto dal vento e dalle onde. Su quella sporgenza sorgeva la chiesa di San Tomaso, un edificio antico che per secoli aveva vegliato sul fronte mare genovese, punto di riferimento per marinai e viaggiatori.
Con l’avvio dei grandi lavori di ampliamento del porto, questo tratto di costa divenne però cruciale per accogliere il sempre maggiore traffico di persone in arrivo e in partenza. Serviva uno spazio dedicato allo sbarco e all’imbarco dei passeggeri, distinto dalle aree più congestionate del porto commerciale. Fu così che, negli anni Ottanta dell’Ottocento, il promontorio venne progressivamente sbancato e la chiesa di San Tomaso fu demolita per lasciare posto a una nuova infrastruttura.
Al suo posto sorse il Ponte a San Tomaso, una piattaforma artificiale costruita direttamente sul mare. Qui trovavano posto le prime strutture per l’attracco delle imbarcazioni e le operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri. Era un’opera semplice ma rivoluzionaria per il porto dell’epoca: per la prima volta Genova disponeva di un punto di approdo appositamente pensato per il traffico viaggiatori, anticipando quella vocazione che avrebbe portato, molti anni dopo, alla nascita della grande Stazione Marittima.
Il ponte rappresentò il primo tassello di una trasformazione profonda. Dove un tempo si levava una chiesa affacciata sull’acqua, ora si apriva uno spazio nuovo, pensato per accogliere flussi di persone e collegare Genova al resto del mondo. È qui, su questa piattaforma costruita al posto del vecchio promontorio, che comincia la storia moderna della mobilità passeggeri nel porto di Genova.
La costruzione del fabbricato per i passeggeri, la prima “stazione marittima”
Quando il Ponte a San Tomaso entrò in funzione, Genova aveva finalmente un punto dedicato allo sbarco dei passeggeri. Ma nei documenti dell’epoca il ponte compare già con molti nomi diversi:Ponte a San Tomaso, Ponte per lo sbarco dei passeggeri, Ponte per i viaggiatori. Nel giro di pochi anni, man mano che l’area assumeva un ruolo sempre più strategico per il traffico marittimo, il toponimo cambiò ancora: il ponte venne intitolato al principe Federico Guglielmo, e da allora iniziò a essere conosciuto come Ponte Federico Guglielmo.
Fu in questo periodo che prese forma un progetto destinato a segnare profondamente la storia del porto: la costruzione di un fabbricato per l’accoglienza dei passeggeri, il primo edificio realizzato appositamente per servire il traffico viaggiatori. Un fabbricato pensato non solo per i passeggeri locali, ma soprattutto per le migliaia di emigranti che, proprio in quegli anni, partivano dal porto di Genova verso le Americhe a bordo dei grandi transatlantici.
Il progetto venne avviato dal Genio Civile e, il 15 ottobre 1885, con la firma del contratto di appalto, i lavori furono affidati all’impresa di Ferdinando Cesaroni. Da quel momento il cantiere procedette con continuità: un susseguirsi di gettate, murature, montaggi metallici e verifiche tecniche che, passo dopo passo, diedero forma a un edificio semplice ma moderno, completato entro il 1889. Consisteva in un corpo di fabbrica ad un solo piano in muratura, accompagnato da una grande tettoia in ferro che proteggeva viaggiatori e bagagli durante le fasi di imbarco e sbarco.
All’interno trovavano posto ampie sale d’attesa, un piccolo locale di ristoro, una sala medica per le visite e i controlli sanitari, e un posto di polizia incaricato di gestire i flussi, verificare documenti e garantire ordine nelle ore più affollate.
Era una struttura sobria ma innovativa, che rispondeva alle esigenze di una popolazione in movimento e restituiva una nuova immagine del porto: non più soltanto luogo di scambio di merci, ma porta d’ingresso e di uscita per persone, famiglie, storie e destini. Con il fabbricato passeggeri, Genova inaugurava così la sua prima vera “stazione marittima”: un approdo moderno, simbolo della città che si affacciava sul mondo.
L’ampliamento del Ponte Federico Guglielmo e il progetto per la nuova stazione Marittima
All’inizio del Novecento il traffico passeggeri del porto di Genova era ormai in continua crescita. Il primo fabbricato ottocentesco non bastava più: gli spazi erano limitati, le navi aumentavano, e la città iniziava a confrontarsi con un movimento di persone sempre più intenso e internazionale. Fu in questo contesto che il Ponte Federico Guglielmo cominciò a essere ampliato.
Già dai primi anni del 1900, il ponte venne progressivamente allargato e rinforzato, assumendo un’estensione molto più vicina a quella attuale. L’area guadagnò così un nuovo respiro: una piattaforma più ampia, capace di sostenere edifici di maggiori dimensioni e di ospitare infrastrutture più moderne. Proprio su questa nuova ampiezza prese forma l’idea di una vera Stazione Marittima, un edificio monumentale che avrebbe trasformato il fronte mare genovese.
Gli anni Venti segnarono la svolta. Nel 1925, mentre l’antico fabbricato ottocentesco era ancora in piedi, vennero avviati i lavori del nuovo complesso. È curioso pensare che, proprio in quell’estate, una troupe cinematografica inglese si trovasse a Genova: nel film d’esordio di Alfred Hitchcock, The Pleasure Garden, si riconosce ancora il vecchio edificio passeggeri, un’ultima testimonianza visiva di una struttura ormai vicina alla demolizione. Pochi mesi dopo quelle riprese, infatti, il fabbricato ottocentesco venne raso al suolo per lasciare spazio alla grande opera che avrebbe ridisegnato definitivamente l’area.
Tra il 1925 e il 1930 il cantiere lavorò senza sosta. L’edificio della nuova Stazione Marittima crebbe rapidamente: ampi saloni, facciate monumentali, volumi geometrici pensati per accogliere migliaia di passeggeri, per gestire le operazioni di imbarco sui transatlantici e per presentare al mondo un’immagine moderna e internazionale della città. Nel 1930 la Stazione Marittima fu inaugurata, diventando da subito un simbolo del nuovo porto e uno degli edifici più rappresentativi della vocazione marittima di Genova.
La documentazione conservata nell’Archivio Storico dell’Autorità Portuale permette oggi di seguire passo dopo passo questo lungo percorso: dalla costruzione del primo Ponte a San Tomaso al progressivo ampliamento del ponte Federico Guglielmo, dalla nascita del fabbricato ottocentesco all’imponente cantiere della stazione moderna. Una trasformazione che, nel giro di pochi decenni, ha cambiato radicalmente il profilo della banchina e il rapporto della città con il mare, segnando l’inizio della sua stagione più intensa come grande porto passeggeri del Mediterraneo.
La stazione Marittima oggi
Nel 2024, la Stazione Marittima ha accolto più di 1,5 milioni di croceristi che hanno scelto il porto di Genova come punto di riferimento per gli itinerari di vacanza nel Mediterraneo. Nel cuore della città, lo storico edificio è oggi un moderno terminal che si estende su Ponte dei Mille per una superficie totale di circa 16.000 mq e si sviluppa su 3 piani collegati con scale mobili ed ascensori. La banchina a forma triangolare è in grado di accogliere contemporaneamente due navi da crociera di ultima generazione, gioielli di ingegneria e design con una concezione ecologica. Infatti, grazie agli interventi di elettrificazione delle banchine che l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale sta realizzando nel porto passeggeri, già a partire dal 2026 le navi in sosta a Ponte dei Mille potranno spegnere i motori di bordo e alimentarsi a corrente, riducendo fino al 25% la CO₂ e abbattendo in modo quasi totale gli ossidi di azoto e particolato, con benefici diretti sulla vivibilità di Genova, sul podio degli scali di partenza e destinazione più apprezzati a livello nazionale e nel Mediterraneo.
Stazione Marittima è al centro di una nuova trasformazione ambientale e strutturale che la doterà di un nuovo profilo di banchina a levante, lungo 376 metri, più ampio e confortevole per accogliere navi all’avanguardia e viaggiatori di oggi e domani.





